mercoledì 11 settembre 2013

L'adultera e la pena di morte

16 marzo 2013, sabato mattina. Mi reco in chiesa per recitare il Santo Rosario quotidiano, come mi capita di fare quando gli impegni me lo permettono. Terminata la preghiera, mi dirigo verso la porta e scorgo il foglietto degli avvisi parrocchiali già pronto e in bella vista per il giorno dopo, Domenica V del Tempo Ordinario, Anno C.

Il brano del Santo Vangelo è molto noto:
Gv 8, 1-11 - In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell'interrogarlo, si alzò e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più”.
 Ed ecco il commento:
L’insegnamento di Gesù non si basa sull’osservanza della legge, ma sull’offerta del suo amore. Per questo il suo insegnamento non viene imposto, ma offerto. All’entusiasmo della folta che ascolta Gesù gli scribi e i farisei reagiscono preparando una trappola. “Gli condussero una donna sorpresa in adulterio”. Il tema di questo brano è: in quale  Dio credere? Nel Dio legislatore, quello che stabilisce le leggi e che punisce con la pena di morte? O nel Dio creatore, quello che crea la vita, la ama e la difende a oltranza?
La reazione di Gesù è sorprendente.
“Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra”. Perché Gesù scrive per terra? La risposta l’abbiamo nel libro del profeta Geremia, al capitolo 17, versetto 13, dove il profeta scrive “O speranza di Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi, quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere”, scritti per terra. Una maniera per indicare che sono già polvere, cioè sono già nei regno dei morti, perché hanno abbandonato il Signore, fonte d’acqua viva! Chi non ama rimane nella morte, chi nutre sentimenti di morte è già morto. Allora l’azione profetica di Gesù di scrivere per terra indica che li iscrive nei regno dei morti, sono già dei morti.
“Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo una pietra contro di lei»”.
Quindi Gesù dice chi se la sente di ammazzarla, chi è senza peccato, esegua la sentenza. Poi si china di nuovo e scrive per terra. “Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno”, all’inizio erano compatti quando si trattava di accusare, adesso che si tratta di scappare, se ne vanno via alla chetichella, uno per uno, “cominciando dai più anziani”. Qui “anziani” non significa “i vecchi”. Il termine greco presbitero indica i componenti del sinedrio, massimo organo giuridico di Israele. “Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo”. Ed ecco l’atteggiamento sorprendente di Gesù: "Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ella rispose: «Nessuno, Signore».
S. Agostino, commentando questo brano ha un’espressione bellissima, dice “rimangono la misera e la misericordia”. Gesù, l’unico nel quale non c’è peccato, le dice “«Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più»”. Gesù non perdona la donna, la donna è già perdonata, ma Gesù le comunica la forza per tornare a vivere.
Analizziamolo. L’autore esordisce così:
L’insegnamento di Gesù non si basa sull’osservanza della legge, ma sull’offerta del suo amore. Per questo il suo insegnamento non viene imposto, ma offerto.
Il Gesù che ci viene presentato da queste poche parole sarebbe quindi un Gesù noncurante della Legge di cui il clero del tempo sarebbe dovuto essere fedele custode: è del tutto evidente che così non può essere e ciò lo si apprende dalle sue stesse parole in questo passo del Vangelo di Matteo:
Mt 5, 17-19 - Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla Legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
I punti 577 e ss. del Catechismo della Chiesa Cattolica trattano ampiamente questo argomento e sorprende quindi che simili giudizi vengano dati in modo tanto temerario “in pasto” ai fedeli senza aver prima confrontato le proprie interiori “risonanze” con quanto la Santa Madre Chiesa insegna a riguardo.

L’errore sta tutto nella precisione chirurgica con la quale, negli ultimi anni, si è deciso di dividere “il Gesù misericordioso” dal “Gesù giusto giudice”. A tutto ciò si aggiunga il fatto che non si pone la giusta attenzione su cosa sia effettivamente la Legge. Da una parte vi è infatti la “Legge” di Dio scolpita nella pietra e data a Mosè nei dieci comandamenti; dall’altra la miriade di norme e prescrizioni aggiunte dagli uomini del tempo, che rischiavano di offuscare il senso e il fine ultimo della “vera” Legge.

Ritornando al primo errore, ben più grave del secondo che potrebbe forse essere considerato una dimenticanza, il passo evangelico andrebbe riletto con uno sguardo diverso, più propriamente cattolico e meno personale. Scrive l’abate Dom Prosper Guéranger:
[…] qui la salvezza […] viene dalla misericordia. La colpa di questa donna è reale; la legge la condanna alla morte; i suoi accusatori, chiedendone la pena, sono per la giustizia: eppure la colpevole non perirà. È Gesù che la salva, e per questo beneficio le richiede una sola condizione: che non pecchi più. Quale riconoscenza dovette avere per il suo liberatore! e come, d'ora innanzi, si preoccupò di seguire l'ordine di chi non volle condannarla, ed al quale doveva la vita! Come peccatori, penetriamoci di questi sentimenti verso il nostro Redentore. Non è stato lui a trattenere il braccio della divina giustizia che stava per colpirci, offrendosi a pagare per noi? Salvati dalla sua misericordia, uniamoci ai Penitenti della Chiesa primitiva, e durante questi giorni che ci restano, procuriamo di gettare le solide basi d'una nuova vita.
Parlare dell’ “amore di Gesù” e trarne una deroga all’osservanza della legge è a dir poco fuorviante: Gesù non condanna la legge, non la abolisce, non la cancella, non agisce come se non fosse tale. Dom Guéranger giustamente fa notare come la colpa della donna in questione sia reale, non supposta: è il pentimento vero, che Gesù ravvisa nella donna, a muoverLo a compassione! E in seguito a questo pentimento, Gesù decide di condonarle la condanna.

La chiosa finale si ricollega all’apertura e, semmai fosse possibile, è ancor più pericolosa:
Gesù non perdona la donna, la donna è già perdonata, ma Gesù le comunica la forza per tornare a vivere.
Secondo logica, se da una parte vi è il peccato dell’uomo, dall’altra vi è Chi può rimetterlo, ma se non è Gesù a perdonare la donna, da chi arriva il perdono che, stando all’autore, alla donna è già stato accordato?

Il linguaggio utilizzato è fumoso e niente affatto evangelico: se il Maestro insegna a parlare “sì sì, no no” non può e non deve esserci spazio per la confusione.
Affermazioni di questo genere sono responsabili dell’ignoranza ormai dilagante nei fedeli e prestano il fianco a quel numeroso stuolo di teologi eterodossi secondo il quale l’inferno sarebbe vuoto o, peggio ancora, a posizioni protestanti, secondo le quali “Dio già conosce i nostri peccati e li perdona senza bisogno di confessarli”. Nella dottrina cattolica non c’è, né potrà mai esserci perdono dei peccati senza pentimento autentico e sincero.

Nel brano evangelico, dopo il famoso invito di Gesù a scagliare la prima pietra, Egli rimane da solo con la donna: a parte il breve colloquio, l’evangelista Giovanni non riporta alcuna altra informazione su ciò che effettivamente avvenne. Non sappiamo se ed eventualmente quanto il Maestro e la donna si siano trattenuti, né sappiamo quale fosse l’atteggiamento di lei, se cioè fosse rimasta tutto il tempo in silenzio, oppure se verosimilmente piangesse lacrime amare e implorasse pietà.
Tutto ciò che sappiamo è che Gesù non può non aver scrutato il suo cuore ed è per quanto vi ravvisò che poté accordarle il perdono della colpa. Da ciò si capisce l’espressione di S. Agostino riportata dall’autore poco prima della chiosa finale: “rimangono la misera e la misericordia”. Ma questo non perché la colpa non esistesse o perché l’ “insegnamento di Gesù non si basasse sull’osservanza della legge” ma perché Gesù “giusto giudice” sa essere al tempo stesso misericordioso con chi, come quella donna, si pente e si umilia davanti a Lui.
Nella donna, come in tutti gli uomini, rimarranno le cicatrici, i segni del peccato e rimarrà la pena da scontare in questo o nell’altro mondo.
Questa è la dottrina cattolica, questa è una delle tante verità salutari che i fedeli hanno bisogno di sentirsi ripetere se vogliono salvare la loro anima!

L’autore, subito dopo l’apertura del commento, decide poi di usare questo brano evangelico per “svegliare” le coscienze e scagliarsi contro la pena di morte:
Il tema di questo brano è: in quale Dio credere? Nel Dio legislatore, quello che stabilisce le leggi e che punisce con la pena di morte? O nel Dio creatore che crea la vita, la ama e la difende a oltranza?
Siamo nuovamente di fronte a una dicotomia assurda applicata a Dio: non esistono un “dio legislatore” e un “dio creatore”. Esiste un Dio, allo stesso tempo, Creatore e Legislatore. Lo si vede nella natura, nella legge che Dio vi ha inscritto e lo si vede apertamente nell’Antico Testamento dove lo stesso Creatore protagonista della Genesi, si mostra Supremo Legislatore, consegnando le tavole a Mosè, ma anche Giudice nei confronti degli uomini che si macchiano di infangare il suo Nome e le sue Leggi.

Vale la pena ricordare che nella morale cattolica la pena di morte è sempre stata considerata lecita. Già il Catechismo del Concilio di Trento diceva:
“Rientra nei poteri della giustizia condannare a morte una persona colpevole. Tale potere, esercitato secondo la legge, serve di freno ai delinquenti e di difesa agli innocenti. Emanando una sentenza di morte i giudici non soltanto non sono colpevoli di omicidio, ma sono esecutori della legge divina che vieta appunto di uccidere colpevolmente. Fine della legge, infatti, è tutelare la vita e la tranquillità degli uomini; pertanto i giudici, che con la loro sentenza puniscono il crimine, mirano appunto a tutelare e a garantire, con la repressione della delinquenza, questa stessa tranquillità della vita garantita da Dio. Dice Davide in un Salmo: «Sterminerò ogni mattino tutti gli empi del paese, per estirpare dalla città del Signore quanti operano il male” (Sal 100,8)» (n. 328).”
Nella traduzione latina ufficiale del 1997 del CCC al numero 2267 questa dottrina viene ribadita seppur con una precisazione che meglio risponde alla sensibilità odierna:
“L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana. Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo «sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti»”.
In linea di principio, il ricorso alla pena di morte rimane lecito: ignorare questo insegnamento per compiacere i potenti di turno o per assecondare la moda del politicamente corretto ormai diffuso a tutti i livelli della società e – ahinoi – del clero è fare del bieco moralismo ed è ripudiare bellamente una parte della dottrina cattolica.

Il giudizio sull’efficacia o meno della pena di morte è e rimane personale e appannaggio di chi è incaricato da Dio della responsabilità di governare gli stati, ma non si pieghi la Parola di Dio per propagandare le proprie idee o quelle di una parte politica.

Davvero c’è di che stare ben poco tranquilli: mi auguro solo che l’autore non sia il parroco… E dire che di commentari ben più solidi e più affidabili ne esistono e sono facilmente reperibili. Per fare un esempio, il famoso sito Maranatha riporta il Commento alle Letture tratto dal Messale dell’Assemblea Cristiana - Festivo, opera del Centro Catechistico Salesiano Leumann (Torino) Editori Elle Di Ci - Esperienze - Edizioni O.R. – Queriniana, ne riporto un estratto:
Una vita ritrovata

Sulla donna adultera pendono le gravi sanzioni della legge (cf Lv 20,10; Dt 22,22.24). Gesù è interpellato e richiesto di un giudizio da parte degli zelanti custodi della tradizione nel perfido tentativo di imbrigliarlo nel vicolo cieco di una risposta in ogni caso compromettente. Il dilemma si gioca sulla scelta tra la legge mosaica e la misericordia che Gesù va insegnando e praticando. Gesù allora fa appello alla coscienza degli accusatori: il loro peccato sta nello sfruttare un caso umano per poter formulare accuse contro di lui. Ma l’intento di Gesù resta chiaro: salvare la peccatrice dall’impietoso giudizio e mostrare il senso della sua missione di messaggero della misericordia divina. Con realismo ed ironia, il vangelo mette in luce la situazione dell’uomo: egli è tanto più peccatore, quanto più è avanzato in età! Non può perciò arrogarsi il diritto di giudicare lo sbaglio di un fratello.

Gesù dà fiducia alla donna che lascia trasparire un umile senso di gratitudine. Egli non condanna, ma ciò non significa indifferenza morale. La sua parola suona come un’assoluzione, congiunta però all’impegno accettato di non peccare più. Il dono della misericordia gratuita ed impensabile diventa responsabilità per una conversione permanente, per una decisione che impegna l’avvenire. Alla donna «perduta» per la legge e per gli uomini, il Signore riconsegna la piena immagine di Dio; da quel momento la vita ritrova il suo significato; il peso di un passato inquietante è tolto (cf prima lettura) e si apre il cammino della speranza.
Ben altro tenore, direi, perfettamente in linea con quanto affermava Dom P. Guéranger.

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