venerdì 18 luglio 2014

Redenzione e Resurrezione

A detta di qualcuno, precisando come sia la Croce a operare la Redenzione dell'umanità, si commetterebbe un grave "errore teologico dalle conseguenze disastrose", perché si opererebbe una "disgiunzione dei momenti che compongono il Mistero Pasquale" (guai a parlare di Croce senza Resurrezione!).

Per intenderci, non si tratta di disgiungere la Croce (la Passione) e la Risurrezione: certamente entrambe sono ricomprese nel riscoperto Mistero Pasquale di Cristo (come se in passato non lo si conoscesse a sufficienza, ma oggi tra i teologi va di moda dire così...) e, ancor più certamente, l'una non ha senso senza l'altra: semplicemente, si tratta di dare ad ognuna il giusto significato e il Dottore Angelico lo fa in modo mirabile. Il fatto che, da diversi anni, si sia (volutamente) messa da parte la scolastica è una della cause principali della confusione che regna nel mondo cattolico, tra i fedeli e purtroppo anche tra il clero che ha ormai perso completamente le solide fondamenta che la scolastica offriva. Ma questo è un altro discorso...
Parte III, Questio 49, Articolo 1
Se la passione di Cristo ci abbia liberati dal peccato


[...]

Dimostrazione:
La passione di cristo è la causa propria della remissione dei peccati per tre motivi.
Primo, quale incentivo alla carità. Poiché, come scrive l'Apostolo [Rm 5,8s], «Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi». Ora, con la carità noi conseguiamo il perdono dei peccati, secondo le parole evangeliche [Lc 7,47]: «Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato».
Secondo, la passione di cristo causa la remissione dei peccati sotto forma di redenzione. Essendo egli infatti il nostro capo, con la sua passione, accettata per amore e obbedienza, ha liberato dal peccato noi che siamo le sue membra, offrendo tale passione come prezzo del riscatto: come se uno riscattasse se stesso da un peccato commesso con i piedi mediante un'opera meritoria compiuta con le mani. Come infatti è unico il corpo fisico formato di membra diverse, così la Chiesa, che è il corpo mistico di Cristo, costituisce come un'unica persona insieme con il suo capo, che è Cristo.
Terzo, a modo di efficienza: poiché il corpo nel quale Cristo ha subìto la passione è «strumento della divinità», per cui i suoi patimenti e le sue azioni agiscono con la virtù di dio nell'eliminazione del peccato.

Analisi delle obiezioni:
1. È vero che Cristo non soffrì come Dio, tuttavia la sua carne era strumento della divinità. E così la sua passione partecipa della potenza divina nell'eliminazione del peccato, come si è detto [nel corpo].
2. La passione di Cristo, pur essendo corporale, riceve tuttavia una certa virtù spirituale grazie alla divinità a cui la carne è unita come uno strumento. Ed è in forza di questa virtù che la passione di Cristo causa la remissione dei peccati.
3. Con la sua passione cristo ci ha liberati dai nostri peccati in maniera causale, cioè istituendo la causa di tale liberazione, in modo che potessero venire rimessi tutti i peccati in qualsiasi momento, siano essi passati, presenti o futuri: come se un medico preparasse una medicina capace di guarire qualsiasi malattia, anche in futuro.
4. Dato che la passione di Cristo fu posta nel tempo come una certa causa universale per la remissione dei peccati, come si è detto [ad 3], è necessario che essa venga applicata ai singoli per la remissione dei loro peccati. e ciò avviene mediante il battesimo, la penitenza e gli altri sacramenti, i quali devono le loro virtù alla passione di cristo, come vedremo in seguito [q. 62, a. 5].
5. È anche attraverso la fede che la passione di Cristo ci viene applicata in modo che possiamo riceverne i frutti, secondo le parole di S. Paolo [Rm 3,25]: «[Dio] lo ha posto come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue».
Ora, la fede con la quale siamo mondati dal peccato non è la fede informe, che può coesistere con il peccato, ma la fede informata dalla carità: per cui la passione di Cristo ci viene applicata non solo quanto all'intelligenza, ma anche quanto alla volontà. E anche in questo modo i peccati vengono rimessi in virtù della passione di cristo.

Parte III, Questio 53, Articolo 1
Se fosse necessario che Cristo risorgesse


[...]

Dimostrazione:
Era necessario che Cristo risorgesse, per cinque motivi.
Primo, per l'affermazione della giustizia divina, alla quale spetta esaltare coloro che per Dio si umiliano, secondo le parole evangeliche [Lc 1,52]: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha esaltato gli umili». Avendo perciò Cristo umiliato se stesso fino alla morte di croce per amore e ubbidienza verso Dio, era conveniente che fosse da lui esaltato fino alla gloria della risurrezione.
Per cui il Salmista [Sal 139,2], secondo le spiegazioni della Glossa [interlin.], così parla in sua persona: «Tu hai conosciuto», cioè approvato, «la mia prostrazione», ossia l'umiliazione e la passione, «e la mia risurrezione», cioè la glorificazione nella risurrezione.
Secondo, per l'istruzione della nostra fede. Poiché dalla sua risurrezione viene confermata la nostra fede nella divinità di cristo: come infatti dice S. Paolo [2 Cor 13,4], «egli fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio». Da cui anche le altre parole dell'Apostolo [1 Cor 15,14]: «Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione, ed è vana anche la vostra fede». E quelle del Salmista  [Sal 30,10]: «Quale utilità nel mio sangue», cioè «nell'effusione del mio sangue», «mentre discendo», come percorrendo una scala di mali, «verso la corruzione?». Come per dire: nessuna. «Se infatti», come spiega la Glossa [interlin. e ord. di Agost.], «io non risorgo subito, e il mio corpo si corrompe, io non evangelizzerò e non riscatterò nessuno».
Terzo, a sostegno della nostra speranza. Poiché vedendo risuscitare Cristo, che è il nostro capo, anche noi speriamo di risorgere. Da cui le parole di S. Paolo [1 Cor 15,12]: «Se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti?». E Giobbe [Gb 19,25.27 Vg] affermava: «Io so», con certezza di fede, «che il mio Redentore», cioè Cristo, «vive», essendo risuscitato dai morti, e quindi «l'ultimo giorno mi rialzerò da terra: questa speranza è riposta nel mio seno».
Quarto, per la formazione morale dei fedeli, in base all'affermazione di S. Paolo [Rm 6,4]: «Come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova». E ancora [Rm 6,9.11]: «Cristo risuscitato dai morti non muore più. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio».
Quinto, per il completamento della nostra salvezza. poiché come morendo portò i nostri mali per liberarci da essi, così volle essere glorificato con la risurrezione per assicurarci il bene, secondo quelle parole [Rm 4,25]: «È stato messo a morte per i nostri peccati, ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione».

Analisi delle obiezioni:
1. Sebbene Cristo non fosse caduto a motivo del peccato, era però caduto a motivo della morte: poiché come il peccato è una caduta rispetto all'onestà, così la morte è una caduta rispetto alla vita. Per cui si possono attribuire a Cristo le parole del profeta [Mi 7,8]: «Non gioire della mia sventura, o mia nemica! Se sono caduto mi rialzerò». Similmente poi, sebbene il corpo di Cristo non si sia disfatto con l'incenerimento, tuttavia la separazione dell'anima dal corpo fu una specie di disfacimento.
2. Dopo la morte di Cristo la divinità rimase unita alla sua carne con l'unione ipostatica, ma non con un'unione naturale come quella con cui l'anima è unita al corpo per costituire la natura umana.
Per il fatto quindi che il corpo di Cristo si riunì all'anima fu elevato a uno stato superiore nell'ordine della natura, pur senza raggiungere uno stato superiore nell'ordine dell'ipostasi.
3. Propriamente parlando, la passione di cristo operò la nostra salvezza quanto alla rimozione dei mali, ma la risurrezione la operò quale inizio ed esemplare dei beni [promessi].
Onestamente, tutto mi sembra molto chiaro e conferma quanto da tempo solo pochissimi ormai vanno affermando: il Sacrificio, cioè la Croce, o per meglio dire, la Passione ripara l'offesa al Padre e redime l'umanità dal peccato (motivo per il quale i cattolici hanno il Crocifisso come simbolo, non la sola Croce, come i protestanti...). La Risurrezione, che non va vista come un evento a sé stante, completa la nostra salvezza (come dice il punto quinto della dimostrazione), mette in opera e perpetua i frutti che la Croce ci ha ottenuti.

giovedì 16 gennaio 2014

La acrobazie dell'Institutio Generalis

A distanza di un po' di tempo (troppo) riprendo il filo del discorso iniziato con questo post Riparazione e SS. Eucaristia (e prima ancora in Gesù si è incarnato per andare sulla Croce?) e lo faccio riprendendo il paragrafo H del primo capitolo dello Studio critico del Novus Ordo Missae di Arnaldo Vidigal Xavier de Silveira (reperibile qui). Certamente, altri teologi e studiosi avranno trattato lo stesso tema ma, quantomeno nella bibliografia recente, non ho trovato chi analizzi la questione in maniera diretta come il prof. de Silveira.
Il memoriale della Resurrezione e dell’Ascensione

Uno dei mezzi impiegati dagli eretici dei nostri tempi per dissimulare il carattere sacrificale e propiziatorio della messa, consiste nell’accentuare eccessivamente il fatto (reale, ma subordinato) che la messa rievoca non solo la morte di Nostro Signore, ma anche la Resurrezione e l’Ascensione.
Noi diciamo che la messa ricorda la Resurrezione e l’Ascensione solo in maniera subordinata, poiché nella sua realtà sacrificale e propiziatoria e nei suoi elementi simbolici essenziali, la messa è innanzitutto e direttamente il rinnovamento del sacrificio della croce. È per questo che essa richiama alla mente soprattutto la morte di Nostro Signore. Tuttavia, come nel mistero del Calvario, che ha propriamente realizzata la nostra Redenzione, erano implicati anche tutti gli altri misteri e tutti gli altri avvenimenti della vita di Cristo, si può e si deve ritenere che la messa richiama anche, ma in maniera subordinata, la Resurrezione (80), l’Ascensione, il fatto che Nostro Signore si è assiso alla destra dell’eterno Padre, ecc. 

L’"Institutio", nell’edizione del 1969, sembra ignorare questa distinzione, provocando in tal modo una confusione dei concetti.  

Così la messa, nel n° 2, è chiamata il "memoriale della Passione e Resurrezione" di Cristo; nel n° 48 si legge che nel corso dell’ultima cena "Cristo istituì il memoriale della sua morte e della sua resurrezione" (81); nel n° 55 si dice che immediatamente dopo la Consacrazione, "la Chiesa celebra il memoriale di Cristo, ricordando principalmente la sua santa Passione, la sua gloriosa Resurrezione e la sua ascensione al cielo"; nel n° 55d, si afferma che nell’ultima cena, Nostro Signore "istituì il sacramento della Passione e della Resurrezione" (82); il n° 335 definisce la messa "il sacrificio eucaristico della Pasqua di Cristo", e i nn. 7 e 268 dichiarano che nella messa celebriamo il "memoriale del Signore".  

I commentatori della B.A.C. confermano i timori che abbiamo espressi prima. Essi manifestano un’avversione particolare per l’accento di santa e sacrificale tristezza che caratterizza la messa tradizionale, anche nei giorni di festa. Questa tendenza a ridurre l’Eucaristia ad una celebrazione gioiosa che esprimerebbe solo allegrezza, diventa evidente nel seguente paragrafo:  

"Incoraggiare perché si dia al canto una grande importanza è più che opportuno (n° 19 dell’"Institutio"). Questo perché l’Eucaristia è il sacramento della Pasqua del Signore, l’attesa del suo glorioso ritorno e insieme una gioiosa celebrazione del trionfo di Cristo che è già stato realizzato e che tutta la Chiesa attende. Il canto è l’espressione naturale di questa gioia" (83).
Passando poi in rassegna, in maniera molto minuziosa, tutte le singole modifiche apportate all'Institutio Generalis Missale Romanum tra l'edizione del 1969 e quella del 1970, al capitolo 4, paragrafo 10, il prof. De Silveira riporta:
L’inizio del n° 48 presenta adesso il seguente testo: 
"Nell’ultima Cena, Cristo istituì il sacrificio e convito pasquale, per mezzo del quale è reso di continuo presente nella Chiesa il sacrificio della Croce, allorché […]" (53). 
Come si vede, l’espressione "commemorazione della sua morte e della sua resurrezione" è stata sostituita dall’espressione "sacrificio e convito pasquale", facendo anche riferimento al sacrificio della Croce. Tuttavia, la già segnalata ambiguità annessa al termine "presenza", rimane (54). D’altra parte, sfortunatamente, non si dice che il sacrificio è propiziatorio: questa precisazione appare solo nel n° 2 del proemio. Stando così le cose, la modifica introdotta al n° 48 non è tale da permettere che si possa cambiare sostanzialmente l’apprezzamento  sul valore dell’"Institutio".
Le critiche che si sollevarono nel 1969 e che portarono alle modifiche dell'Institutio del 1970, confermano proprio i timori che vado esprimendo e meditando da tempo: quel che trovo veramente strano è che siano pochi gli studiosi cattolici (laici e non) che se ne preoccupano.

Come già ho avuto modo di fare notare, a conferma di tutto questo, si faccia attenzione alla traduzione di questa famosa orazione (che segue, per esempio il Tantum Ergo nella Benedizioni Eucaristiche):

Deus, qui nobis sub sacramento mirabili, passionis tuæ memoriam reliquisti: tribue, quæsumus, ita nos corporis et sanguinis tui sacra mysteria venerari, ut redemptionis tuæ fructum in nobis iugiter sentiamus. Qui vivis et regnas in sæcula sæculorum.

Signore Gesù Cristo, che nel mirabile sacramento dell'eucarestia ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua, fa' che adoriamo con viva fede il santo mistero del tuo corpo e del tuo sangue, per sentire sempre in noi i benefici della tua redenzione. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

Mentre le vecchie e ben più fedeli traduzioni, che rendevano - giustamente! - passione per il latino passionis.

Abbiamo insomma, un Sacrificio edulcorato e una Redenzione ormai totalmente riassorbita e ricompresa nella Risurrezione.