lunedì 22 aprile 2013

Precisazioni

Qualcuno potrebbe obiettare che quanto esporrò di qui a poco non sia necessario o addirittura fuori luogo. Quel che è certo è che queste considerazioni mi ronzano in testa da almeno una settimana e l'idea di non poterle argomentare in modo preciso e - vivaddio! - con un po' di calma,  mi provoca un leggero senso di inquietudine. Inoltre ci tengo molto a spostare l'oggetto del contendere lontano dall'acredine e dall'animosità che Facebook provoca (probabilmente a causa del distacco dovuto allo star dietro ad uno schermo): quante sono le cose che, di persona, si eviterebbe di dire se non esistesse quel sottile strato di anonimato...

Piccola premessa: vorrei fosse chiaro fin da subito che non ho, né ho mai avuto, alcuna intenzione di esprimere giudizi sulle persone. La buona fede e la buona volontà non sono mai state, da parte mia, neanche lontanamente messe in discussione. Ciò che però non mi posso esimere dal fare è esprimere un giudizio sui fatti. Cosa tra l'altro squisitamente cristiana se è vero, come è vero, che lo stesso San Paolo ci dice "vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono" (1Ts 5, 21) e quindi, come vagliare un fatto senza giudicarlo? Dico questo perché nella miriade di commenti che mi si è scagliata contro  sono stato accusato, per l'appunto, di giudicare le persone, di disprezzare l'impegno di chi si mette in gioco per il bene di tutti, di essere facile alla critica non costruttiva e di molte altre cose, alcune delle quali niente affatto ragionevoli ma direi piuttosto basse.

E ora, i fatti: nel mio paese natio è stato recentemente costituito un Comitato Cittadino (d'ora in avanti, per brevità, CC). La notizia di questa iniziativa è stata riportata da tutti i giornali locali ma, per le ragioni che dirò, fin da subito non mi ha entusiasmato.

Conosco molte delle persone che lo hanno fondato e molte di quelle che hanno preso parte agli incontri  che si sono susseguiti: tutte persone degnissime e animate da un grande spirito di coesione, nonché dalla volontà di mettersi a disposizione per il paese. Semmai ce ne fosse bisogno, basterebbe verificare l'impegno che hanno messo, e ancora mettono, non solo nelle rispettive professioni, ma soprattutto nell'organizzazione dell'annuale Sagra dei Santi patroni e nelle numerose altre occasioni collegate alla comunità (che mi piace pensare ancora) cristiana, attraverso le attività del più "rodato" Comitato Fiera (CF).

Insieme e in stretta collaborazione con il CC, è stato creato anche un giornalino di informazione: secondo le intenzioni degli ideatori, una sorta di think tank virtuale, in grado di ospitare riflessioni, confronti, approfondimenti, ecc., su tutto quanto concerne la vita del paese.

Come dicevo, dal momento che inizialmente l'idea del CC non suscitava il mio interesse, non ho indagato oltre; ma ecco che, "come per magia", la prima pagina del giornalino viene pubblicata su di una pagina Facebook alla quale sono iscritto, offrendomi, su un piatto di argento, la possibilità di saperne di più.

Devo ammetterlo: niente di più gradito! Se non che le prime righe catturano da subito la mia attenzione: in primo luogo, sotto la testata noto la dicitura
"Mensile di carattere informativo apolitico in collaborazione con il Comitato Cittadino"; 
in secondo luogo, l'articolo di apertura inizia così:
«L'autunno scorso, a seguito delle riunioni intraprese da alcuni cittadini di ..., è stato formato un apposito Comitato Frazionale apolitico, con il compito d'individuare le problematiche e le opere necessarie al miglioramento della qualità della vita nella nostra frazione.»
Decido quindi di commentare in questo modo:
«Bell'iniziativa, ma l'esser apolitici non è una virtù. In questo campo, ogni atto, ogni decisione e prima ancora, ogni idea, presuppone un giudizio politico, quand'anche non fosse da attribuire a un particolare schieramento. Far politica con comitati apolitici non ha molto senso.»
A scanso di equivoci, nei commenti successivi viene immediatamente chiarito che trattavasi di un "banale" refuso: il termine da utilizzare sarebbe dovuto essere apartitico.
La cosa mi è parsa subito un po' bizzarra: sembra una banalità, ma i due termini dipingono due realtà completamente diverse. Mi rendo conto che, per chi conosce bene l'iniziativa, vuoi in qualità di collaboratore, vuoi in qualità di semplice cittadino ben informato, il problema quasi non si pone. Va da sé che non siamo tutti scrittori o giornalisti, come non siamo tutti artigiani, coltivatori, politici o quant'altro; per dirla con San Paolo - di nuovo lui! -, molti sono i carismi, "ma uno solo è lo Spirito" (1Cor 12, 4).  Ciò che però dovrebbe essere altrettanto chiaro è che non tutti possono essere tanto ben informati da sopperire a certe imprecisioni.

Quand'anche il termine utilizzato in prima battuta fosse stato apartitico l'impianto della critica non sarebbe cambiato di molto. Appena lette quelle primissime battute, il mio pensiero è subito andato a un magistrale articolo di Mario Palmaro pubblicato sul numero n.121 de Il Timone, mensile di informazione e formazione apologetica, dal titolo Tecnocrazia, la fine della democrazia?, il quale recita:
«Il modello istituzionale del governo tecnico presenta alcune caratteristiche peculiari: il tecnico non appartiente ad alcuna forza politica; non viene scelto dal voto popolare; non ha bisogno di coltivare o di difendere il consenso dell'opinione pubblica; non esprime una visione del mondo almeno formalmente ideologica; viene certificato come molto competente in materie considerate oggi strategiche, come economia e finanza; rappresenta la quintessenza della laicità dello Stato poiché la sua fede non conta, essendo decisiva solo la sua bravura nel fare. 
La parabola personale di Mario Monti ha incrinato in maniera evidente alcune di queste "certezze": ad esempio, non di rado il tecnico nasce apartitico, ma poi lo si scopre sostenuto da alcune forze politiche e osteggiato da altre, o addirittura leader di partito. Monti si è presentato sulla scena come un economista prestato alla politica, per poi diventare uno dei protagonisti del teatrino elettorale. Il che rivela un primo dato antropologico incontrovertibile: e cioè che ogni uomo, anche se privo di tessere di partito, esprime una certa visione politica. Il tecnico puro è, in altri termini un mito.»
È chiaro che non si sta parlando di governo dello Stato, né di chissà quali ideologie o della verifica di chissà quali teorie economiche ma, fatte le debite proporzioni, non ci si può non rendere conto che, da quanto successo negli ultimi mesi in Italia, c'è da imparare una grande lezione. Ogni uomo esprime una certa visione politica e questo, sia che si tratti della politica nazionale, sia che si tratti della politica di una minuscola frazione. Si pensi, ad esempio, al dover destinare i fondi raccolti da una qualsiasi iniziativa benefica: ci potrà essere chi intende destinarli alla tal causa e chi alla talaltra, chi intende trattenerne una parte per coprire le spese sostenute e chi no, ecc.

A mente fredda e dopo qualche giorno, un mio caro amico, mi faceva notare come, secondo lui, un ulteriore motivo per essere più morbidi e indulgenti verso questi "errori di gioventù", stia nel fatto che i cittadini che hanno dato vita al CC sono comunque animati dalla volontà di perseguire il "bene comune del paese"; ma questo altro non è che l'obiettivo di ogni associazione politica. Il vero problema sta nel capire in cosa consista questo bene comune! Volendo divagare e volendo essere precisi e pignoli (altra cosa di cui sono stato accusato) le concezioni di bene comune sarebbero da ricondurre ad almeno quattro grandi visioni (in questo mi viene in soccorso il professor Giacomo Samek Lodovici che riesce sempre a rendere questi argomenti di facile comprensione, in particolare cfr. Il bene comune, Il Timone n.113):
  • il liberalismo, secondo cui il bene comune della società è la somma dei beni individuali;
  • l'utilitarismo, secondo cui, consistendo il bene comune della società nella massimizzazione globale dei beni individuali, è possibile perseguirlo a scapito del bene di alcuni soggetti;
  • il comunismo, secondo il quale ogni bene è comune e non esistono beni privati;
  • il personalismo, visione propria della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica, per cui il bene comune è un bene in comune, cioè «non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale» ma «è di tutti e di ciascuno», cioè il bene dell'altro è una componente del mio bene.
L'argomento è talmente vasto che non vale la pena invischiarvisi; ad essere onesto non ne sarei neanche capace. Quel che è certo è che spesso e volentieri non è molto conveniente fare uso di certi termini in pubblico, se non li si padroneggia appieno: potranno garantire il plauso immediato di chi se ne lascia impressionare, ma rimane il rischio che si rivelino autentici boomerang.

Mi piace pensare, poi, che questo giornalino aspiri ad avere un respiro un po' più ampio dei soli aderenti al CC: in definitiva, più preciso è il linguaggio utilizzato (soprattutto riguardo alla natura del comitato e delle iniziative), più precisa sarà l'idea che una qualsiasi persona potrà farsi del CC stesso. Mi sembra, tutto sommato, una forma molto alta di rispetto nei confronti dei lettori.

Tra i tanti e tanti commenti, mi è sembrato di scorgere una sorta di intolleranza alla critica, o meglio, a quel tipo di critica ritenuta "non costruttiva". Mi si dica - di grazia - in primo luogo, qual è la definizione di critica costruttiva e, in secondo luogo, per quale motivo la critica "costruttiva" è ritenuta la sola in grado di far maturare la realtà del comitato (o di qualsiasi altra iniziativa). Ho come l'impressione che per "critica costruttiva" si intenda in realtà una sorta di lode mal dissimulata e, si sa, di lodi non se ne ascoltano mai abbastanza.

Scriveva uno dei responsabili del CC che il giornalino è nato senza una particolare linea politica - ma il  CC no! Quello un minimo di linea politica la dovrà pur avere! - e soprattutto che politica "vuol dire dialogare, mediare e ragionare". Troppo semplice: politica significa certamente tutto questo, ma non solo! Il dialogo non è sempre possibile, come non è sempre possibile conciliare (mediare per l'appunto) posizioni molto distanti e, in ultima istanza, anche chi si sforza di ragionare, in politica, è troppo spesso merce rara. Che lo si voglia o no, la politica è fatta anche di scontri, alcuni corretti, alcuni meno, altri talmente aspri da divenire dimentichi del rispetto da riservare a chi andrebbe trattato come un avversario e non come un nemico. Anche da questi scontri è però possibile trarre grandi insegnamenti: sono queste le situazioni in cui cadono le maschere, in cui, chi crede veramente nelle sue posizioni, lotta con tutti i mezzi a sua disposizione per difenderle.

Credo poi che, tra la gente, qualcuno non riesca a distinguere dove finisca il Comitato Cittadino e dove inizi il Comitato Fiera, probabilmente perché molte delle persone coinvolte operano sia nel primo che nel secondo. È una situazione un po' ambigua che meriterebbe di esser chiarita: il primo fa (o dovrebbe) far politica per ammissione stessa dei suoi esponenti; il secondo fa beneficenza e opera nell'alveo delle iniziative parrocchiali. La politica ha, giocoforza, delle regole diverse dalla beneficenza e ignorarlo non può far altro che ingenerare confusione, cosa che non è certamente nell'interesse del CC, né in quello della parrocchia.

Resto dell'avviso che la politica si debba fare in modo chiaro, a viso aperto, mettendo sul tavolo tutte le carte: noi siamo il tal partito/movimento o la tal associazione, ci siamo dati questa denominazione, ci ispiriamo a questi valori, veniamo da queste esperienze politiche/lavorative/associative/sindacali e vogliamo arrivare in quella data posizione, vogliamo portare avanti gli interessi di questo gruppo di persone, di queste istanze, ecc.: è questa, in ultima analisi, la mia più grossa critica.

Per concludere, se il CC si pone come obiettivo quello di "svegliare le coscienze" e di aumentare il senso civico dei cittadini, in modo tale che questi possano impegnarsi maggiormente, sentirsi più coinvolti, e - perché no? - decidere di spendersi in modo più deciso e numericamente più rilevante nell'ambito delle istituzioni, allora ben venga il CC.
Diversamente, se il comitato mira invece a coltivarsi un piccolo e poco lungimirante orticello, fatto di qualche buona ma estemporanea iniziativa, allora è già tempo di correre ai ripari e raddrizzare la rotta, perché dal comitato potranno anche nascere le migliori proposte per il paese, ma se non ci sarà chi le porti avanti nelle famigerate stanze dei bottoni, rimarranno solo proposte e, statene certi, i fiumi di parole spesi coi sindaci e gli assessori di turno serviranno a ben poco.

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